COME ERAVAMO
La
sera di giovedì 6 maggio 1976 una forte scossa di terremoto devastava una gran
parte del territorio della regione Friuli Venezia Giulia. Dal giorno successivo
i mezzi di informazione iniziarono a diffondere le immagini e le notizie con il
bilancio delle vittime e dei danni subiti dalle popolazioni, suscitando nel
paese una grande ondata emotiva.
Domenica
9 tra i giovani casalesi che, come al solito, si fermavano a chiacchierare sul
sagrato al termine della Messa, cominciò a circolare una frase: “Dobbiamo fare
qualcosa”. Detto… fatto! Da quello stesso pomeriggio, a piccoli gruppi,
iniziarono a battere il territorio comunale, armati di megafono, per chiedere
alla popolazione di partecipare alla raccolta di indumenti e generi di prima
necessità che avevano deciso di organizzare. Il parroco, don Renato Beltrami,
mise subito a disposizione le sale del Baitino, dove venne organizzato il
centro di raccolta, i casalesi aderirono in massa e dopo un paio di settimane
si poterono caricare e inviare i primi autocarri con i materiali raccolti. Come
riferimento nelle zone colpite era stato individuato Tavagnacco, un comune
della provincia di Udine dove risiedevano persone conosciute, in modo che gli
aiuti arrivassero direttamente a chi ne aveva bisogno, senza incappare in
troppi ostacoli burocratici.
La
mobilitazione durò un anno intero e culminò nella festa patronale di San Giorgio
del 1977, i cui proventi, al netto delle spese vive, furono destinati al
soccorso di quella stessa comunità. Nei giorni culminanti della festa arrivò da
Tavagnacco il loro gruppo folkloristico, composto di giovani e bambini, che
animò la Messa solenne e presentò in alcuni spettacoli il suo tipico repertorio
di musiche e canti popolari friulani.
Un
mese più tardi una piccola delegazione del comitato festeggiamenti raggiungeva
il Friuli per consegnare alle autorità locali i fondi raccolti; veniva ospitata
per alcuni giorni a Tavagnacco e poteva rendersi conto di quanto veloci ed
efficaci fossero gli interventi di ricostruzione in corso, tanto che in quel
comune non si trovava più nessun edificio che fosse ancora in attesa di lavori.
Le
fotografie che pubblichiamo, frutto delle ricerche in corso alla Ca dij Libär
dlä Cort Cèrä, sono un ricordo di quei giorni.
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