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domenica 28 gennaio 2018

Notizie casalesi - 28 gennaio 2018

ASSEMBLEA ALPINA

E’ convocata per martedì 6 febbraio – alle 21, presso la sede sociale del Palazzo – l’assemblea del gruppo ANA di Casale Corte Cerro. All’ordine del giorno la definizione del programma di attività per l’anno appena iniziato, che vede in particolare evidenza il centesimo anniversario della battaglia di Vittorio Veneto con il termine della prima guerra mondiale. A ricordo di quegli avvenimenti il gruppo intende organizzare una mostra commemorativa che verrà allestita presso il museo della Latteria Consorziale Turnaria nel periodo della festa patronale di San Giorgio, a fine aprile, e che sarà accompagnata da tutta una serie di avvenimenti collaterali.

lunedì 22 gennaio 2018

Misteri nel verde


Dite un po’: vi è mai capitata, passeggiando nei boschi delle nostre montagne, la strana sensazione di non essere soli? Di occhi discreti che vi stiano osservando, di voci che sussurrino messaggi subliminali, che vi chiamino con fare suadente? Avete mai avuto un sussulto improvviso, l’istinto di voltarvi repentinamente per cogliere una presenza vaga, ma pure così insistente da risultare quasi fisica? Si, vero?
Beh, tranquilli. Non state avendo delle allucinazioni. Sono loro, i Piccoli Signori, il piccolo popolo delle leggende, dei miti, delle tradizioni ancestrali.
Nel secondo millennio dell'era precristiana un gruppo di popolazioni stanziate nell'Europa centrale fu interessato da un forte sviluppo demografico e prese ad espandere la sua zona d'insediamento verso sud e verso ovest, andando progressivamente a mischiarsi e sovrapporsi ai precedenti abitanti, ai quali finirono per imporre la loro cultura e, in buona parte, la loro lingua. Non è chiaro come definissero sé stessi, ma greci e romani, secoli più tardi, li chiamarono rispettivamente keltoi e galli. E Gallia, quidi, fu il nome dei loro territori. In Italia la loro zona di espansione, la Gallia Cisalpina, arrivò a coprire tutti i territori alpini, il piano padano e l‘appennino settentrionale e umbro marchigiano. Famosi sono rimasti i clan dei Boi e, soprattutto, dei Senoni – che avevano il loro centro più importante in Saena Gallica, l’attuale Senigallia – e che nel 390 avanti Cristo conquistarono e saccheggiarono Roma sotto la guida di Brenno. Ai nostri tempi si studiava quell’episodio nel corso di storia, alle scuole elementari, e tutti conoscevamo la sprezzante risposta del console Furio Camillo ai capi celti, quando gettando la spada sulla bilancia con cui si stava pesando l’oro richiesto per il riscatto dei prigionieri proclamò: “Con il ferro e non con l’oro si riscatta l’onore di Roma!”
Furono queste popolazioni eterogenee, i celti, a lasciare nella nostra cultura – e nel nostro DNA – quelle radici che ancora oggi, a più di duemila anni dalla loro sottomissione a Roma e dal loro assorbimento tra le popolazioni dell’impero, ancora spesso affiorano prepotentemente, seppure in modo inconscio.
Ad esempio ricordo un’anziana signora che, esasperata dalle mie intemperanze infantili, ogni tanto mi sgridava con un sonoro “Täranìs at mändä on lòsän!” (Taranìs ti mandi un fulmine) senza stare a meditare che proprio lei, cattolica tradizionalista, stava invocando in Taranìs la divinità del tuono dei nostri lontani antenati.
In Irlanda, dove le tradizioni celtiche sono rimaste più a lungo intatte, una leggenda racconta di come gli antichi dei che un tempo popolavano quei territori fossero un giorno stati sconfitti e sottomessi da nuove popolazioni provenienti da occidente – il mito della perduta Atlantide, forse – ma non accettando questo nuovo status si siano ritirati a vivere nelle foreste e nel sottosuolo, riducendo le proprie dimensioni fisiche e sviluppando le arti magiche per meglio sfuggire ai dominatori. Si sarebbe così sviluppata quelle fitta schiera di creature fantastiche – fate, folletti, goblin, troll, elfi e quant’altro – nota come “il piccolo popolo”.
Tra i territori alpini quelli delle valli del Toce e del Ticino conservano le più importanti tracce di insediamenti celtici, come testimoniato dai siti archeologici di Golasecca, Ornavasso e Gravellona Toce. Erano le zone dei clan dei Lepontes – il popolo della lepre – e degli Agones e anche da noi possiamo trovare tacce di quei miti ancestrali. Il territorio è disseminato di massi erratici coperti di coppelle e altri “segni” rituali, in ogni paese si ricordano riti per l’invocazione della pioggia – o per fermare le precipitazioni troppo abbondanti – o per propiziare la fertilità dei campi, degli animali e delle donne. Usanze che nel corso dei secoli hanno assunto una parvenza di liturgia cattolica, ma basta grattarne un poco la superfice perché salti fuori la base pagana, cioè legata all’antica religione precristiana.
E allo stesso modo dai racconti degli anziani salta fuori un universo popolato da un gran numero di creature misteriose, a volte benefiche, in altri casi demoniache, che vivrebbero nell’ombra, ma proprio al nostro fianco. E si racconta quindi della cusc, la donna selvatica con il corpo ricoperto di peli, che un giorno rapì un neonato lasciato incustodito dalla madre sostituendolo nella culla con il suo piccolo dall’aspetto mostruoso. L’umana, chiaramente orripilata dall’aspetto della piccola creatura, si rifiutava di accudirla e di nutrirla e questa, con il suo pianto disperato, richiamò l’attenzione della sua vera madre che, mossa a pietà, riportò il bimbo rapito e, prendendo il suo, pronunciò le sue uniche parole: “Tëgn scià ‘l teu biänchìn e damm indré ‘l me plosìn” (riprenditi il tuo bianchino e restituiscimi il mio pelosino). Se da Casale Corte Cerro risalite il sentiero che si addentra nella forra del rio Urcia noterete un pertugio nel fianco del monte; nella toponomastica locale è ël forn dlä cusc (l’antro della cusc).
Ël fòl era invece un essere di grande statura che si aggirava di notte per i boschi della valle Strona; appariva all’improvviso a fianco dei viandanti solitari e cercava di accompagnarli nel loro cammino. Molti fuggivano spaventati, inseguiti dalla agghiacciante risata dell’essere fatato, tanto da rischiare spesso di infortunarsi cadendo dai dirupi. Ma ai pochi che ne accettavano la presenza il fòl si mostrava invece amichevole. Chiacchierava in modo amabile, si rivelava assetato di pettegolezzi, ma anche prodigo di ottimi consigli riguardo alle tecniche di allevamento e di coltivazione.
I folletti erano un esercito di piccole creature allegre, vivaci, sagge e dispettose. Si dice che fossero i bambini morti prima di poter essere battezzati e pertanto esclusi dall’accesso ai regni ultraterreni – paradiso, purgatorio e inferno – e condannati a vagare per sempre sulla terra, andando a tormentare coloro i quali non erano stati in grado di garantire loro la pace eterna. Entravano nelle case e nascondevano gli oggetti, rovesciavano i secchi del latte appena munto, disfacevano le calze che le ragazze avevano quasi terminato di lavorare a maglia. Nelle stalle liberavano gli animali dalle loro poste facendoli fuggire per le campagne. A qualcuno facevano invece del bene. Si racconta che a un povero mendicante trovato addormentato in un fosso abbiano rivelato un grande segreto: se fosse riuscito a seguire il percorso di un arcobaleno prima che si dissolvesse, scavando nel punto esatto in cui l’arco colorato usciva dal terreno avrebbe trovato un grande tesoro. Fantasie? Fatto sta che il mendicante nessuno l’avrebbe più rivisto, ma che in una città lontana sia improvvisamente comparso un ricco e sconosciuto signore che, dicono, gli somigliasse un poco…
L’uomo selvatico aveva un aspetto poco rassicurante, con tutti quei peli addosso e i piedi voltati all’indietro – metodo certo, d’altronde per riconoscere gli esseri fatati. Ma in fondo era un tipo innocuo e gli alpigiani, conoscendolo lo accoglievano nelle stalle quando si presentava per la veglia serale, gli passavano una scodella di zuppa o un bicchiere di vino e lui in cambio raccontava antiche storie e dava consigli e insegnamenti. In particolare insegnò ai montanari come sfruttare il siero residuo dalla lavorazione dei formaggi, ricuocendolo ad alta temperatura e facendolo nuovamente cagliare con l’aggiunta di aceto per ottenerne così un terzo prodotto, dopo burro e formaggio duro, che chiamò ricotta; promise anzi che in una successiva occasione avrebbe svelato una ulteriore possibilità di lavorazione, ma poi ci si mise di mezzo il destino. Destino maligno, nelle vesti di due ragazzotte sventate che presero a dileggiare l’òm sëlvagh per i suoi strani piedi sino a che lui, particolarmente permaloso, se ne andò offeso, portando con sé l’ultimo prezioso segreto. E da allora non si fece più vedere.
Un ultimo, doveroso cenno alla zoologia fantastica, nel cui capitolo ci piace citare la fassärolä, curioso essere per metà cane e per l’altra maialino, che si aggirerebbe di notte portando in bocca un fascio di sterpi; era considerato particolarmente pericoloso per le donne gravide in quanto, se fosse riuscito a passare tra le loro gambe divaricate avrebbe provocato la perdita del nascituro. Una creatura simile - la vàina, un neonato strettamente fasciato dai piedi sino al collo – infestava i monti dell’Ossola rotolando continuamente per i ripidi versanti, emettendo un vagito straziante e provocando i medesimi perniciosi effetti sulle fure madri.
Molti anche i luoghi infestati dall’asspär, o brasalèsch, con corpo di serpente, ali da pippistrello e testa di gatto. Un vero e proprio drago “tascabile” che, a fissarlo direttamente negli occhi, pietrifica l’incauto osservatore. E infine il gat mainón, il gatto mammone, felino di enormi dimensioni a volte ricordato come ël gat dij orècc d’òss, il gatto dotato di orecchie ossee – par di vederlo, con un bel paio di corna demoniache – che terrorizzava i bambini capricciosi.
A questo punto mi par di udire la vostra domanda ironica: “Barba, ma cosa ti sei fumato?..”
Si, lo so, sono o forse semplicemente sembrano le fantasticherie di un vecchio allucinato e credulone. Eppure… eppure se vi aggiraste per i boschi intorno a Crebbia in certe sere particolari e se vi capitasse di trovarvi nel posto giusto, al momento giusto e con la luce giusta… Ecco, potrebbe succedere anche a voi di trovarvelo di fronte, con il suo ghigno sarcastico ed enigmatico: è il pagadebät, Pan delle foreste, lo spirito che veniva indicato dai miseri e dagli indifesi a protezione dai prepotenti. Non ci credete? Provate!..
Alla prossima.
Massimo M. Bonini – barbä Bonìn
Nota linguistica.
I testi dialettali sono trascritti secondo le regole fonetiche fissate dalla Consulta Regionale per la Lingua Piemontese e adattate alle varianti del Verbano Cusio Ossola e Alto Novarese dall’associazione Compagnia dij Pastor di Omegna. Per maggiori informazioni in merito a questi aspetti è possibile consultare il sito internet compagniadijpastor.blogspot.it

Novembre 2017
per Alpe Nostra, notiziario del C.A.I. sezione di Omegna


nella fotografia: il Pagadebät di Crebbia


Quattro passi nella storia


Corcera. Termine desueto, di fronte al quale più di una persona rimarrà perplessa, chiedendosi di cosa mai si stia parlando. Eppure è il nome del luogo in cui, probabilmente, vive la maggior parte di coloro che stanno leggendo queste note, la denominazione antica della valle che scede da Omegna verso Gravellona Toce, delimitata dai monti Zuccaro e Cerano verso ovest e dal Mergozzolo – si, proprio quel complesso la cui cima più alta è nota come Mottarone – a est ed è percorsa dall’ultimo tratto dello Strona, che dopo aver accolto nel suo grembo le acque del lago d’Orta portatele dalla Nigoglia – quella che orgogliosamente la va a l’in su – le dirige verso il Toce e il lago Maggiore. Stiamo parlando quindi di luoghi che stanno “dietro l’angolo” e di percorsi che i nostri vecchi avrebbero definito lä stràa ‘d l’eurt, il vicolo che porta all’orticello di famiglia, quello che chiunque percorrerebbe ad occhi chiusi.
Mi par di sentire l’obiezione: “Ma vogliamo perdere del tempo per cose tanto ovvie?” Rispondo: “Ma siete poi così sicuri di conoscerle davvero?” Dai, lasciatevi accompagnare per un poco. Vi assicuro che altri, dopo questa esperienza, mi hanno detto: “Però! Abito a poche centinaia di metri da qui, ma certi posti non li avevo mai visti e certe cose non le avevo mai sentite”…
Il nostro “esperimento geografico” inizia proprio dal centro della valle, a Casale Corte Cerro, in particolare da quel balcone naturale che è il Parco delle Rimembranze della frazione Motto. Realizzato negli anni ’20 del secolo scorso per ricordare i numerosi caduti del primo conflitto mondiale – l’elenco completo dei loro nomi lo si trova poco lontano, inciso in una lastra di bronzo posto sulla parete meridionale del campanile della chiesa parrocchiale di San Giorgio – fu ristrutturato nel 1956, quando venne dotato del monumento, opera di Andrea Cascella, a memoria dei caduti della lotta di Liberazione. Da qui si può godere del panorama completo della valle, con le pendici dei monti costellate dai numerosi paesi, il Cusio, il corso dello Strona fino all’ansa del Toce ai piedi del Mont’Orfano. Una vera e propria carta geografica naturale su cui delineare il tracciato del nostro percorso.
Partiamo in direzione sud attraversando la frazione del Motto e passando nei pressi dell'edificio scolastico, inaugurato nel 1936 e poi più volte ampliato e rimaneggiato. Dopo il piazzale di parcheggio l'antica strada pedonale – purtroppo in cattivo stato – corre pochi metri sotto la carrozzabile, che conviene comunque utilizzare, passando di fronte alla cappelletta devozionale dedicata alla Sacra Famiglia dai Bottamini, il cui stemma – una botte da cui scorre, abbondante, il vino - è ancora visibile sul timpano.
Entrati nella frazione Tanchello si passa dall'oratorio di San Giovanni Battista e San Fermo; curiosa la banderuola segnavento montata sul campanile: rappresenta la sagoma di un gufo, a ricordare come gli abitanti della frazione fossero soprannominati ij oloch, gli allocchi. La stradina passa poi tra alcune case antiche e, salita a riattraversare la carrozzabile, prosegue tra prati e boschi, su un fondo che mostra ancora, a tratti, l'antico acciottolato, passando per zone che portano nomi evocativi dell'antica cultura contadina: Staunogn (intraducibile), Costalvèr (la costa verde), Lavandér (il luogo delle fonti), fino a raggiungere l'abitato di Montebuglio.
Buglio – il prefisso di Monte gli fu aggiunto artificialmente solo a metà '800 - è sede di una comunità molto antica, citata dai documenti d'archivio sino dai primi decenni dell'undicesimo secolo, e orgogliosa della sua autonomia comunale, che mantenne sino al 1869, quando fu forzatamente aggregata al comune di Casale. Attraversando il paese si possono ammirare diverse abitazioni signorili di stile settecentesco, adorne di logge a colonnati e ornamenti architettonici che denotano la prosperità degli abitanti. L’insegna del circolo operaio porta l’immagine della falce di luna, a ricordo della leggenda secondo cui i montebugliesi si potrebbero definire ‘astronauti ante litteram’. La parrocchiale dedicata a San Tommaso apostolo ha anch’essa storia antica ed è tutt’ora sede di parrocchia autonoma, istituita nel 1629 per distacco da Crusinallo. Di fronte alla chiesa si trova la grande cappella ossario di fattura settecentesca, ultimo residuo dell’antico camposanto che, come in quasi tutti i nostri paesi, un tempo circondava l’edificio sacro, quasi a voler mantenere uniti i vivi ai loro cari trapassati. L’usanza terminò nel 1805, quando il regime napoleonico, con l’editto di Saint Cloud di foscoliana memoria, impose il trasferimento dei cimiteri – con tutti i loro precedenti ‘inquilini’ - lontano dai centri abitati per ragioni sanitarie.
Dalla piazzetta ci dirigiamo ancora verso sud e percorriamo il ponte che attraversa il rio Loneglio. Da qui, guardando a monte, si intravede il rudere di un vecchio mulino: un artigiano locale vi aveva impiantato la sua attività metalmeccanica sfruttando l’energia idraulica del torrente fino a che un bel giorno, osservando la moglie che faceva il bucato con la lichiveuse – la macchina liscivatrice che precorse le moderne lavatrici – non concepì l’idea di applicarne il principio di funzionamento a un piccolo marchingegno di alluminio che, sfruttando la pressione del vapore, spingeva dell’acqua surriscaldata a passare attraverso uno strato di polvere di caffè. Fu così che il montebugliese Alfonso Bialetti inventò la moka express, sulla quale fondò il suo impero industriale, portato poi alla fama mondiale dal figlio Renato, il mitico ‘Omino coi Baffi’.
Lasciato definitivamente il territorio di Buglio, a monte del cimitero nuovo imbocchiamo un tratto della vecchia strada per Gattugno, abitato che raggiungiamo in pochi minuti di cammino e che segna il punto più alto del nostro itinerario. Prima di iniziare la discesa ci soffermiamo nella piazzetta, con il piccolo parco che divide l’oratorio dedicato alla Madonna della Neve dall’edificio che fu il municipio del comune di Cranna Gattugno, soppresso e annesso a Omegna – così come Crusinallo, Cireggio e Agrano – con la legge di riordino degli enti amministrativi promulgata dal governo fascista nel 1926.
Scendiamo seguendo ancora l’antica strada pedonale, costeggiamo un prato recintato con lastre di serizzo, alcune delle quali recano evidenti segni di coppelle, e raggiungiamo l’altro nucleo del vecchio comune, Cranna Superiore. Il nome però è ormai finito del dimenticatoio, sostituito da quello di San Fermo, dal grande santuario seicentesco che gli emigranti dal paese costruirono per il culto al santo legionario romano, uno dei martiri della Legione Tebana fatta decimare dall’imperatore Massimiano nel 286 per il rifiuto opposto da quei soldati, già convertiti al cristianesimo, a partecipare alla persecuzione degli Helvezi, nel basso Vallese. Il santo è conosciuto in tuta la zona come potente taumaturgo, tanto che la chiesa custodisce una ricca collezione di ex voto, molti dei quali di forma anatomica, cioè riproducente la parte del corpo del devoto che sarebbe stata guarita per intercessione del patrono. Per lo stesso motivo nel salto roccioso che sostiene l’edificio è presente una cavità che, secondo la leggenda, era destinata a lazzaretto ove confinare gli appestati.
Da San Fermo il percorso riprende una delle strade pedonali che, scendendo lungo la forra del rio San Martino porta al Cassinone, piccolo nucleo al confine tra Omegna e Casale, da cui, seguendo la strada provinciale possiamo ritornare al centro di Casale Corte Cerro, chiudendo così l’anello del nostro giro.
Come promesso, una facile passeggiate di poche ore alla scoperta di alcuni di quei piccoli, ma tanti, ‘tesori’ che fanno così ricche e interessanti le nostre montagne.
Alla prossima.

Massimo M. Bonini – barbä Bonìn
per Alpe Nostra
bollettino della sezione CAI di Omegna
giugno 2017


domenica 21 gennaio 2018

Notizie casalesi - 21 gennaio 2018

NUOVO SITO WEB PER IL COMUNE DI CASALE C.C.
E’ stato completamente rinnovato il sito internet dell’Amministrazione comunale casalese in modo da renderlo conforme alle indicazioni emanate dall’Agenzia per l’Italia Digitale. Lo si trova all’indirizzo comune. casalecortecerro.vb.it e risulta adatto a essere consultato tanto da computer quanto da dispositivi portatili quali tablet e telefoni cellulari, offrendo quindi maggior chiarezza e praticità agli utenti, soprattutto i meno esperti nell’impiego delle tecnologie informatiche.

VESPARADUNO 2018
Il gruppo locale degli appassionati della Vespa annuncia che il raduno annuale è in programma per domenica 6 maggio o, in caso di maltempo, domenica 20 maggio. Per informazioni contattare 346 674 1090 o a.cavestri@alice.it


Corso di formazione per giornalisti della stampa locale


martedì 16 gennaio 2018

Notizie casalesi - 14 gennaio 2018

FESTA DI SANT’ANTONIO ABATE ALLA CEREDA
Si terranno domenica 21 gennaio alle 16,30, nell’oratorio della Cereda a lui dedicato, i festeggiamenti per la ricorrenza di sant’Antonio abate. Verrà celebrata la Messa e verrà impartita la benedizione solenne agli animali domestici – dei quali il santo taumaturgo è considerato il protettore dalla tradizione popolare – e al sale che, secondo un’antica usanza era conservato e utilizzato quale cura primaria in caso di malanni degli animali medesimi.

ASSEMBLEA INTERPARROCCHIALE
Si è tenuta lo scorso 9 gennaio l’assemblea pastorale unitaria delle tre parrocchie casalesi. L’ordine del giorno prevedeva innanzi tutto l’analisi dell’attività svolta a livello di Unità Pastorale Missionaria, in collaborazione con le comunità limitrofe e il programma di quelle per il prossimo periodo di Quaresima e Pasqua. Il parroco, don Pietro Segato – coadiuvato da padre Joseph Irudaya Raj – ha illustrato una situazione problematica, ponendo l’accento soprattutto sulla continua diminuzione della partecipazione alle celebrazioni, ma anche alle diverse attività ‘esterne’ che via via vengono presentate. Sono molte infatti le proposte scaturite dai lavori del Sinodo Diocesano recentemente concluso, in particolare quelle riferite al settore giovanile e a quello caritativo e assistenziale, ma sempre più evidente è la crisi vocazionale con la progressiva diminuzione di coloro che in qualche modo danno la propria disponibilità alla collaborazione fattiva e disinteressata. Purtroppo dall’assemblea non sono emerse idee significative per porre rimedio a tale situazione, stante anche la scarsa partecipazione dei parrocchiani.
Subito dopo si è passati a definire il calendario degli appuntamenti per i prossimi periodi di quaresima, primavera e inizio estate, riconfermando sostanzialmente le classiche occasioni legate ai principali momenti liturgici e alle feste delle diverse frazioni. Informazioni dettagliate circa i diversi impegni verranno di volta in volta diffuse attraverso i consueti mezzi di informazione, principalmente i bollettini e i siti internet delle parrocchie.

CARITAS CASALESE: IL BILANCIO DI UN ANNO DI LAVORO
E’ stato presentato il bilancio delle attività sociali ed economiche della Caritas interparrocchiale per l’anno 2017.
Il conto economico vede registrate entrate per circa 3700 euro a fronte di spese che assommano a quasi 5500; il disavanzo viene coperto attraverso il fondo di riserva che era andato costituendosi con l’istituzione del sodalizio, avvenuta nel 2011, mediante un gran numero di iniziative, che sono però andate scemando negli ultimi tempi. Ha continuato a funzionare il progetto di sostegno alle famiglie disagiate - riorientato ultimamente alle sole famiglie residenti nel territorio di competenza – con la distribuzione di una quantità consistente di prodotti alimentari e di prima necessità; si è notato però che, a fronte di una sostanziale stabilizzazione del numero di soggetti richiedenti aiuto, sia aumentate la richiesta di forniture, segno inequivocabile di un ulteriore impoverimento dei medesimi.
Anche in questo campo si fa poi sentire la progressiva diminuzione dei volontari, con un notevole aggravio del carico di lavoro per quelli ancora attivi; diviene quindi urgente trovare nuove ‘braccia’ e nuove idee per permettere il mantenimento del livello di servizio sino ad ora garantito.

ARRIVA SAN GIORGIO
In vista della festa patronale di aprile si è ricostituito il comitato organizzatore. La prima riunione, tenutasi il 15 gennaio, è servita a definire il calendario generale degli eventi, che inizieranno il 20 aprile e si protrarranno sino la 1 maggio, con una coda il 5 maggio quando si terrà la terza edizione del Vesparaduno del Drago.
Perno delle manifestazioni saranno come sempre la pesca di beneficienza e il tendone enogastronomico, mentre si stanno raccogliendo idee e suggerimenti per tutte le iniziative di contorno, per la realizzazione delle quali servono come sempre un gran numero di volontari. Chi fosse disponibile a dare una mano lo segnali in casa parrocchiale.


lunedì 1 gennaio 2018

Notizie casalesi - 1 gennaio 2018

LIETI EVENTI
I migliori auguri a Flavia Raviol e Giorgio Arvonio che hanno recentemente festeggiato le loro nozze d’oro.

LUTTI

Sono recentemente scomparsi Ferdinando Melloni, 64 anni, della Cereda, Valentino Bianchi, 84 anni, del Gabbio e Pia Cerini Miglio, 81 anni, residente a Baveno , ma originaria di Crebbia. A parenti e amici le più sentite condoglianze della redazione.