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lunedì 29 gennaio 2018
domenica 28 gennaio 2018
Notizie casalesi - 28 gennaio 2018
ASSEMBLEA ALPINA
E’ convocata per martedì 6 febbraio – alle
21, presso la sede sociale del Palazzo – l’assemblea del gruppo ANA di Casale
Corte Cerro. All’ordine del giorno la definizione del programma di attività per
l’anno appena iniziato, che vede in particolare evidenza il centesimo
anniversario della battaglia di Vittorio Veneto con il termine della prima
guerra mondiale. A ricordo di quegli avvenimenti il gruppo intende organizzare
una mostra commemorativa che verrà allestita presso il museo della Latteria
Consorziale Turnaria nel periodo della festa patronale di San Giorgio, a fine
aprile, e che sarà accompagnata da tutta una serie di avvenimenti collaterali.
lunedì 22 gennaio 2018
Misteri nel verde
Dite un po’: vi è mai capitata, passeggiando
nei boschi delle nostre montagne, la strana sensazione di non essere soli? Di
occhi discreti che vi stiano osservando, di voci che sussurrino messaggi subliminali,
che vi chiamino con fare suadente? Avete mai avuto un sussulto improvviso,
l’istinto di voltarvi repentinamente per cogliere una presenza vaga, ma pure
così insistente da risultare quasi fisica? Si, vero?
Beh, tranquilli. Non state avendo delle
allucinazioni. Sono loro, i Piccoli Signori, il piccolo popolo delle leggende,
dei miti, delle tradizioni ancestrali.
Nel secondo millennio dell'era precristiana
un gruppo di popolazioni stanziate nell'Europa centrale fu interessato da un
forte sviluppo demografico e prese ad espandere la sua zona d'insediamento
verso sud e verso ovest, andando progressivamente a mischiarsi e sovrapporsi ai
precedenti abitanti, ai quali finirono per imporre la loro cultura e, in buona
parte, la loro lingua. Non è chiaro come definissero sé stessi, ma greci e
romani, secoli più tardi, li chiamarono rispettivamente keltoi e galli. E Gallia, quidi, fu il nome dei loro territori. In
Italia la loro zona di espansione, la Gallia Cisalpina, arrivò a coprire tutti
i territori alpini, il piano padano e l‘appennino settentrionale e umbro
marchigiano. Famosi sono rimasti i clan dei Boi e, soprattutto, dei Senoni –
che avevano il loro centro più importante in Saena Gallica, l’attuale Senigallia – e che nel 390 avanti Cristo conquistarono
e saccheggiarono Roma sotto la guida di Brenno. Ai nostri tempi si studiava
quell’episodio nel corso di storia, alle scuole elementari, e tutti conoscevamo
la sprezzante risposta del console Furio Camillo ai capi celti, quando gettando
la spada sulla bilancia con cui si stava pesando l’oro richiesto per il
riscatto dei prigionieri proclamò: “Con il ferro e non con l’oro si riscatta
l’onore di Roma!”
Furono queste popolazioni eterogenee, i
celti, a lasciare nella nostra cultura – e nel nostro DNA – quelle radici che
ancora oggi, a più di duemila anni dalla loro sottomissione a Roma e dal loro
assorbimento tra le popolazioni dell’impero, ancora spesso affiorano
prepotentemente, seppure in modo inconscio.
Ad esempio ricordo un’anziana signora che,
esasperata dalle mie intemperanze infantili, ogni tanto mi sgridava con un
sonoro “Täranìs at mändä on lòsän!”
(Taranìs ti mandi un fulmine) senza stare a meditare che proprio lei, cattolica
tradizionalista, stava invocando in Taranìs la divinità del tuono dei nostri
lontani antenati.
In Irlanda, dove le tradizioni celtiche sono
rimaste più a lungo intatte, una leggenda racconta di come gli antichi dei che
un tempo popolavano quei territori fossero un giorno stati sconfitti e
sottomessi da nuove popolazioni provenienti da occidente – il mito della
perduta Atlantide, forse – ma non accettando questo nuovo status si siano
ritirati a vivere nelle foreste e nel sottosuolo, riducendo le proprie
dimensioni fisiche e sviluppando le arti magiche per meglio sfuggire ai
dominatori. Si sarebbe così sviluppata quelle fitta schiera di creature
fantastiche – fate, folletti, goblin, troll, elfi e quant’altro – nota come “il
piccolo popolo”.
Tra i territori alpini quelli delle valli del
Toce e del Ticino conservano le più importanti tracce di insediamenti celtici,
come testimoniato dai siti archeologici di Golasecca, Ornavasso e Gravellona
Toce. Erano le zone dei clan dei Lepontes
– il popolo della lepre – e degli Agones
e anche da noi possiamo trovare tacce di quei miti ancestrali. Il territorio è
disseminato di massi erratici coperti di coppelle e altri “segni” rituali, in
ogni paese si ricordano riti per l’invocazione della pioggia – o per fermare le
precipitazioni troppo abbondanti – o per propiziare la fertilità dei campi,
degli animali e delle donne. Usanze che nel corso dei secoli hanno assunto una
parvenza di liturgia cattolica, ma basta grattarne un poco la superfice perché
salti fuori la base pagana, cioè legata all’antica religione precristiana.
E allo stesso modo dai racconti degli anziani
salta fuori un universo popolato da un gran numero di creature misteriose, a
volte benefiche, in altri casi demoniache, che vivrebbero nell’ombra, ma
proprio al nostro fianco. E si racconta quindi della cusc, la donna selvatica con il corpo ricoperto di peli, che un
giorno rapì un neonato lasciato incustodito dalla madre sostituendolo nella
culla con il suo piccolo dall’aspetto mostruoso. L’umana, chiaramente
orripilata dall’aspetto della piccola creatura, si rifiutava di accudirla e di
nutrirla e questa, con il suo pianto disperato, richiamò l’attenzione della sua
vera madre che, mossa a pietà, riportò il bimbo rapito e, prendendo il suo,
pronunciò le sue uniche parole: “Tëgn
scià ‘l teu biänchìn e damm indré ‘l me plosìn” (riprenditi il tuo
bianchino e restituiscimi il mio pelosino). Se da Casale Corte Cerro risalite
il sentiero che si addentra nella forra del rio Urcia noterete un pertugio nel
fianco del monte; nella toponomastica locale è ël forn dlä cusc (l’antro della cusc).
Ël
fòl era invece un essere di
grande statura che si aggirava di notte per i boschi della valle Strona;
appariva all’improvviso a fianco dei viandanti solitari e cercava di
accompagnarli nel loro cammino. Molti fuggivano spaventati, inseguiti dalla
agghiacciante risata dell’essere fatato, tanto da rischiare spesso di infortunarsi
cadendo dai dirupi. Ma ai pochi che ne accettavano la presenza il fòl si mostrava invece amichevole.
Chiacchierava in modo amabile, si rivelava assetato di pettegolezzi, ma anche
prodigo di ottimi consigli riguardo alle tecniche di allevamento e di coltivazione.
I folletti erano un esercito di piccole
creature allegre, vivaci, sagge e dispettose. Si dice che fossero i bambini
morti prima di poter essere battezzati e pertanto esclusi dall’accesso ai regni
ultraterreni – paradiso, purgatorio e inferno – e condannati a vagare per
sempre sulla terra, andando a tormentare coloro i quali non erano stati in
grado di garantire loro la pace eterna. Entravano nelle case e nascondevano gli
oggetti, rovesciavano i secchi del latte appena munto, disfacevano le calze che
le ragazze avevano quasi terminato di lavorare a maglia. Nelle stalle
liberavano gli animali dalle loro poste facendoli fuggire per le campagne. A
qualcuno facevano invece del bene. Si racconta che a un povero mendicante
trovato addormentato in un fosso abbiano rivelato un grande segreto: se fosse
riuscito a seguire il percorso di un arcobaleno prima che si dissolvesse,
scavando nel punto esatto in cui l’arco colorato usciva dal terreno avrebbe
trovato un grande tesoro. Fantasie? Fatto sta che il mendicante nessuno l’avrebbe
più rivisto, ma che in una città lontana sia improvvisamente comparso un ricco
e sconosciuto signore che, dicono, gli somigliasse un poco…
L’uomo selvatico aveva un aspetto poco
rassicurante, con tutti quei peli addosso e i piedi voltati all’indietro –
metodo certo, d’altronde per riconoscere gli esseri fatati. Ma in fondo era un
tipo innocuo e gli alpigiani, conoscendolo lo accoglievano nelle stalle quando
si presentava per la veglia serale, gli passavano una scodella di zuppa o un
bicchiere di vino e lui in cambio raccontava antiche storie e dava consigli e
insegnamenti. In particolare insegnò ai montanari come sfruttare il siero
residuo dalla lavorazione dei formaggi, ricuocendolo ad alta temperatura e
facendolo nuovamente cagliare con l’aggiunta di aceto per ottenerne così un
terzo prodotto, dopo burro e formaggio duro, che chiamò ricotta; promise anzi
che in una successiva occasione avrebbe svelato una ulteriore possibilità di
lavorazione, ma poi ci si mise di mezzo il destino. Destino maligno, nelle
vesti di due ragazzotte sventate che presero a dileggiare l’òm sëlvagh per i suoi strani piedi sino a che lui,
particolarmente permaloso, se ne andò offeso, portando con sé l’ultimo prezioso
segreto. E da allora non si fece più vedere.
Un ultimo, doveroso cenno alla zoologia
fantastica, nel cui capitolo ci piace citare la fassärolä, curioso essere per metà cane e per l’altra maialino, che
si aggirerebbe di notte portando in bocca un fascio di sterpi; era considerato
particolarmente pericoloso per le donne gravide in quanto, se fosse riuscito a
passare tra le loro gambe divaricate avrebbe provocato la perdita del
nascituro. Una creatura simile - la vàina,
un neonato strettamente fasciato dai piedi sino al collo – infestava i monti
dell’Ossola rotolando continuamente per i ripidi versanti, emettendo un vagito
straziante e provocando i medesimi perniciosi effetti sulle fure madri.
Molti anche i luoghi infestati dall’asspär, o brasalèsch, con corpo di serpente, ali da pippistrello e testa di
gatto. Un vero e proprio drago “tascabile” che, a fissarlo direttamente negli
occhi, pietrifica l’incauto osservatore. E infine il gat mainón, il gatto mammone, felino di enormi dimensioni a volte
ricordato come ël gat dij orècc d’òss,
il gatto dotato di orecchie ossee – par di vederlo, con un bel paio di corna
demoniache – che terrorizzava i bambini capricciosi.
A questo punto mi par di udire la vostra
domanda ironica: “Barba, ma cosa ti sei fumato?..”
Si, lo so, sono o forse semplicemente
sembrano le fantasticherie di un vecchio allucinato e credulone. Eppure… eppure
se vi aggiraste per i boschi intorno a Crebbia in certe sere particolari e se
vi capitasse di trovarvi nel posto giusto, al momento giusto e con la luce
giusta… Ecco, potrebbe succedere anche a voi di trovarvelo di fronte, con il
suo ghigno sarcastico ed enigmatico: è il pagadebät,
Pan delle foreste, lo spirito che veniva indicato dai miseri e dagli
indifesi a protezione dai prepotenti. Non ci credete? Provate!..
Alla prossima.
Massimo M. Bonini – barbä
Bonìn
Nota linguistica.
I testi dialettali sono
trascritti secondo le regole fonetiche fissate dalla Consulta Regionale per la
Lingua Piemontese e adattate alle varianti del Verbano Cusio Ossola e Alto
Novarese dall’associazione Compagnia dij Pastor di Omegna. Per maggiori
informazioni in merito a questi aspetti è possibile consultare il sito internet
compagniadijpastor.blogspot.it
Novembre 2017
per Alpe Nostra, notiziario
del C.A.I. sezione di Omegna
nella fotografia: il Pagadebät di Crebbia
Quattro passi nella storia
Corcera. Termine desueto, di
fronte al quale più di una persona rimarrà perplessa, chiedendosi di cosa mai
si stia parlando. Eppure è il nome del luogo in cui, probabilmente, vive la
maggior parte di coloro che stanno leggendo queste note, la denominazione
antica della valle che scede da Omegna verso Gravellona Toce, delimitata dai
monti Zuccaro e Cerano verso ovest e dal Mergozzolo – si, proprio quel
complesso la cui cima più alta è nota come Mottarone – a est ed è percorsa
dall’ultimo tratto dello Strona, che dopo aver accolto nel suo grembo le acque
del lago d’Orta portatele dalla Nigoglia – quella che orgogliosamente la va a l’in su – le dirige verso il
Toce e il lago Maggiore. Stiamo parlando quindi di luoghi che stanno “dietro
l’angolo” e di percorsi che i nostri vecchi avrebbero definito lä stràa ‘d l’eurt, il vicolo che porta
all’orticello di famiglia, quello che chiunque percorrerebbe ad occhi chiusi.
Mi par di sentire
l’obiezione: “Ma vogliamo perdere del tempo per cose tanto ovvie?” Rispondo:
“Ma siete poi così sicuri di conoscerle davvero?” Dai, lasciatevi accompagnare
per un poco. Vi assicuro che altri, dopo questa esperienza, mi hanno detto:
“Però! Abito a poche centinaia di metri da qui, ma certi posti non li avevo mai
visti e certe cose non le avevo mai sentite”…
Il nostro “esperimento
geografico” inizia proprio dal centro della valle, a Casale Corte Cerro, in
particolare da quel balcone naturale che è il Parco delle Rimembranze della
frazione Motto. Realizzato negli anni ’20 del secolo scorso per ricordare i
numerosi caduti del primo conflitto mondiale – l’elenco completo dei loro nomi
lo si trova poco lontano, inciso in una lastra di bronzo posto sulla parete
meridionale del campanile della chiesa parrocchiale di San Giorgio – fu
ristrutturato nel 1956, quando venne dotato del monumento, opera di Andrea
Cascella, a memoria dei caduti della lotta di Liberazione. Da qui si può godere
del panorama completo della valle, con le pendici dei monti costellate dai
numerosi paesi, il Cusio, il corso dello Strona fino all’ansa del Toce ai piedi
del Mont’Orfano. Una vera e propria carta geografica naturale su cui delineare
il tracciato del nostro percorso.
Partiamo in direzione sud
attraversando la frazione del Motto e passando nei pressi dell'edificio
scolastico, inaugurato nel 1936 e poi più volte ampliato e rimaneggiato. Dopo
il piazzale di parcheggio l'antica strada pedonale – purtroppo in cattivo stato
– corre pochi metri sotto la carrozzabile, che conviene comunque utilizzare,
passando di fronte alla cappelletta devozionale dedicata alla Sacra Famiglia
dai Bottamini, il cui stemma – una botte da cui scorre, abbondante, il vino - è
ancora visibile sul timpano.
Entrati nella frazione
Tanchello si passa dall'oratorio di San Giovanni Battista e San Fermo; curiosa
la banderuola segnavento montata sul campanile: rappresenta la sagoma di un
gufo, a ricordare come gli abitanti della frazione fossero soprannominati ij
oloch, gli allocchi. La stradina passa poi tra alcune case antiche e, salita a
riattraversare la carrozzabile, prosegue tra prati e boschi, su un fondo che
mostra ancora, a tratti, l'antico acciottolato, passando per zone che portano
nomi evocativi dell'antica cultura contadina: Staunogn (intraducibile), Costalvèr
(la costa verde), Lavandér (il luogo delle fonti), fino a raggiungere
l'abitato di Montebuglio.
Buglio – il prefisso di
Monte gli fu aggiunto artificialmente solo a metà '800 - è sede di una comunità
molto antica, citata dai documenti d'archivio sino dai primi decenni
dell'undicesimo secolo, e orgogliosa della sua autonomia comunale, che mantenne
sino al 1869, quando fu forzatamente aggregata al comune di Casale.
Attraversando il paese si possono ammirare diverse abitazioni signorili di
stile settecentesco, adorne di logge a colonnati e ornamenti architettonici che
denotano la prosperità degli abitanti. L’insegna del circolo operaio porta
l’immagine della falce di luna, a ricordo della leggenda secondo cui i
montebugliesi si potrebbero definire ‘astronauti ante litteram’. La
parrocchiale dedicata a San Tommaso apostolo ha anch’essa storia antica ed è
tutt’ora sede di parrocchia autonoma, istituita nel 1629 per distacco da
Crusinallo. Di fronte alla chiesa si trova la grande cappella ossario di
fattura settecentesca, ultimo residuo dell’antico camposanto che, come in quasi
tutti i nostri paesi, un tempo circondava l’edificio sacro, quasi a voler
mantenere uniti i vivi ai loro cari trapassati. L’usanza terminò nel 1805,
quando il regime napoleonico, con l’editto di Saint Cloud di foscoliana memoria,
impose il trasferimento dei cimiteri – con tutti i loro precedenti ‘inquilini’
- lontano dai centri abitati per ragioni sanitarie.
Dalla piazzetta ci dirigiamo
ancora verso sud e percorriamo il ponte che attraversa il rio Loneglio. Da qui,
guardando a monte, si intravede il rudere di un vecchio mulino: un artigiano
locale vi aveva impiantato la sua attività metalmeccanica sfruttando l’energia
idraulica del torrente fino a che un bel giorno, osservando la moglie che
faceva il bucato con la lichiveuse –
la macchina liscivatrice che precorse le moderne lavatrici – non concepì l’idea
di applicarne il principio di funzionamento a un piccolo marchingegno di
alluminio che, sfruttando la pressione del vapore, spingeva dell’acqua
surriscaldata a passare attraverso uno strato di polvere di caffè. Fu così che
il montebugliese Alfonso Bialetti inventò la moka express, sulla quale fondò il
suo impero industriale, portato poi alla fama mondiale dal figlio Renato, il
mitico ‘Omino coi Baffi’.
Lasciato definitivamente il
territorio di Buglio, a monte del cimitero nuovo imbocchiamo un tratto della
vecchia strada per Gattugno, abitato che raggiungiamo in pochi minuti di
cammino e che segna il punto più alto del nostro itinerario. Prima di iniziare
la discesa ci soffermiamo nella piazzetta, con il piccolo parco che divide
l’oratorio dedicato alla Madonna della Neve dall’edificio che fu il municipio
del comune di Cranna Gattugno, soppresso e annesso a Omegna – così come
Crusinallo, Cireggio e Agrano – con la legge di riordino degli enti
amministrativi promulgata dal governo fascista nel 1926.
Scendiamo seguendo ancora
l’antica strada pedonale, costeggiamo un prato recintato con lastre di serizzo,
alcune delle quali recano evidenti segni di coppelle, e raggiungiamo l’altro
nucleo del vecchio comune, Cranna Superiore. Il nome però è ormai finito del dimenticatoio,
sostituito da quello di San Fermo, dal grande santuario seicentesco che gli
emigranti dal paese costruirono per il culto al santo legionario romano, uno
dei martiri della Legione Tebana fatta decimare dall’imperatore Massimiano nel
286 per il rifiuto opposto da quei soldati, già convertiti al cristianesimo, a
partecipare alla persecuzione degli Helvezi, nel basso Vallese. Il santo è
conosciuto in tuta la zona come potente taumaturgo, tanto che la chiesa
custodisce una ricca collezione di ex voto, molti dei quali di forma anatomica,
cioè riproducente la parte del corpo del devoto che sarebbe stata guarita per
intercessione del patrono. Per lo stesso motivo nel salto roccioso che sostiene
l’edificio è presente una cavità che, secondo la leggenda, era destinata a
lazzaretto ove confinare gli appestati.
Da San Fermo il percorso
riprende una delle strade pedonali che, scendendo lungo la forra del rio San
Martino porta al Cassinone, piccolo nucleo al confine tra Omegna e Casale, da
cui, seguendo la strada provinciale possiamo ritornare al centro di Casale
Corte Cerro, chiudendo così l’anello del nostro giro.
Come promesso, una facile
passeggiate di poche ore alla scoperta di alcuni di quei piccoli, ma tanti,
‘tesori’ che fanno così ricche e interessanti le nostre montagne.
Alla prossima.
Massimo M. Bonini – barbä Bonìn
per Alpe Nostra
bollettino della sezione CAI di Omegna
giugno 2017
domenica 21 gennaio 2018
Notizie casalesi - 21 gennaio 2018
NUOVO SITO WEB PER IL COMUNE DI CASALE C.C.
E’ stato completamente rinnovato il sito
internet dell’Amministrazione comunale casalese in modo da renderlo conforme alle
indicazioni emanate dall’Agenzia per l’Italia Digitale. Lo si trova all’indirizzo
comune. casalecortecerro.vb.it e risulta adatto a essere consultato tanto da
computer quanto da dispositivi portatili quali tablet e telefoni cellulari,
offrendo quindi maggior chiarezza e praticità agli utenti, soprattutto i meno
esperti nell’impiego delle tecnologie informatiche.
VESPARADUNO
2018
Il gruppo locale degli appassionati della
Vespa annuncia che il raduno annuale è in programma per domenica 6 maggio o, in
caso di maltempo, domenica 20 maggio. Per informazioni contattare 346 674 1090 o
a.cavestri@alice.it
giovedì 18 gennaio 2018
martedì 16 gennaio 2018
Notizie casalesi - 14 gennaio 2018
FESTA DI SANT’ANTONIO ABATE ALLA CEREDA
Si terranno domenica 21 gennaio alle 16,30,
nell’oratorio della Cereda a lui dedicato, i festeggiamenti per la ricorrenza
di sant’Antonio abate. Verrà celebrata la Messa e verrà impartita la
benedizione solenne agli animali domestici – dei quali il santo taumaturgo è
considerato il protettore dalla tradizione popolare – e al sale che, secondo
un’antica usanza era conservato e utilizzato quale cura primaria in caso di
malanni degli animali medesimi.
ASSEMBLEA
INTERPARROCCHIALE
Si è tenuta lo scorso
9 gennaio l’assemblea pastorale unitaria delle tre parrocchie casalesi.
L’ordine del giorno prevedeva innanzi tutto l’analisi dell’attività svolta a
livello di Unità Pastorale Missionaria, in collaborazione con le comunità
limitrofe e il programma di quelle per il prossimo periodo di Quaresima e
Pasqua. Il parroco, don Pietro Segato – coadiuvato da padre Joseph Irudaya Raj
– ha illustrato una situazione problematica, ponendo l’accento soprattutto
sulla continua diminuzione della partecipazione alle celebrazioni, ma anche
alle diverse attività ‘esterne’ che via via vengono presentate. Sono molte
infatti le proposte scaturite dai lavori del Sinodo Diocesano recentemente
concluso, in particolare quelle riferite al settore giovanile e a quello caritativo
e assistenziale, ma sempre più evidente è la crisi vocazionale con la
progressiva diminuzione di coloro che in qualche modo danno la propria
disponibilità alla collaborazione fattiva e disinteressata. Purtroppo dall’assemblea
non sono emerse idee significative per porre rimedio a tale situazione, stante
anche la scarsa partecipazione dei parrocchiani.
Subito
dopo si è passati a definire il calendario degli appuntamenti per i prossimi
periodi di quaresima, primavera e inizio estate, riconfermando sostanzialmente
le classiche occasioni legate ai principali momenti liturgici e alle feste
delle diverse frazioni. Informazioni dettagliate circa i diversi impegni
verranno di volta in volta diffuse attraverso i consueti mezzi di informazione,
principalmente i bollettini e i siti internet delle parrocchie.
CARITAS CASALESE: IL BILANCIO DI UN ANNO DI
LAVORO
E’ stato
presentato il bilancio delle attività sociali ed economiche della Caritas
interparrocchiale per l’anno 2017.
Il conto
economico vede registrate entrate per circa 3700 euro a fronte di spese che
assommano a quasi 5500; il disavanzo viene coperto attraverso il fondo di
riserva che era andato costituendosi con l’istituzione del sodalizio, avvenuta
nel 2011, mediante un gran numero di iniziative, che sono però andate scemando
negli ultimi tempi. Ha continuato a funzionare il progetto di sostegno alle famiglie
disagiate - riorientato ultimamente alle sole famiglie residenti nel territorio
di competenza – con la distribuzione di una quantità consistente di prodotti
alimentari e di prima necessità; si è notato però che, a fronte di una
sostanziale stabilizzazione del numero di soggetti richiedenti aiuto, sia
aumentate la richiesta di forniture, segno inequivocabile di un ulteriore
impoverimento dei medesimi.
Anche in
questo campo si fa poi sentire la progressiva diminuzione dei volontari, con un
notevole aggravio del carico di lavoro per quelli ancora attivi; diviene quindi
urgente trovare nuove ‘braccia’ e nuove idee per permettere il mantenimento del
livello di servizio sino ad ora garantito.
ARRIVA SAN GIORGIO
In vista
della festa patronale di aprile si è ricostituito il comitato organizzatore. La
prima riunione, tenutasi il 15 gennaio, è servita a definire il calendario
generale degli eventi, che inizieranno il 20 aprile e si protrarranno sino la 1
maggio, con una coda il 5 maggio quando si terrà la terza edizione del
Vesparaduno del Drago.
Perno
delle manifestazioni saranno come sempre la pesca di beneficienza e il tendone
enogastronomico, mentre si stanno raccogliendo idee e suggerimenti per tutte le
iniziative di contorno, per la realizzazione delle quali servono come sempre un
gran numero di volontari. Chi fosse disponibile a dare una mano lo segnali in
casa parrocchiale.
sabato 13 gennaio 2018
sabato 6 gennaio 2018
lunedì 1 gennaio 2018
Notizie casalesi - 1 gennaio 2018
LIETI EVENTI
I migliori auguri a Flavia Raviol e Giorgio
Arvonio che hanno recentemente festeggiato le loro nozze d’oro.
LUTTI
Sono recentemente
scomparsi Ferdinando Melloni, 64 anni, della Cereda, Valentino Bianchi, 84
anni, del Gabbio e Pia Cerini Miglio, 81 anni, residente a Baveno , ma
originaria di Crebbia. A parenti e amici le più sentite condoglianze della
redazione.
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