Questi sono anni difficili per il mondo alpino. Per la natura e per gli uomini.
Il severo e grandioso ambiente delle alte Alpi è sconvolto dal repentino regresso glaciale, mentre le valli pedemontane sono sconquassate da eventi climatici estremi, improvvisi e imprevedibili. Un mondo fragile perché dominato dalla terza dimensione della verticalità.
La società degli uomini che vivono sulle montagne sta vivendo crisi di identità e di prospettive. Tramontate le “identità tradizionali” e la civiltà rurale montana che da sette secoli ha modellato il territorio, il mondo alpino è alla ricerca di una “terza via” tra abbandono, spopolamento feroce e acquisizione devastante di modelli urbani. Un’utopia?
Per le città, le Alpi sono sempre state “misteriose”. Per il mondo antico (le infames frigoribus alpes della civiltà romana) furono ostacolo al transito degli eserciti e al traffico delle merci; per il mondo medioevale furono regno terribile di demoni e streghe; l’Illuminismo le riscoprì come regno della natura e il Romanticismo vi vide un mondo in cui vivevano i “buoni selvaggi” montanari. Inventando l’alpinismo, l’Inghilterra vittoriana vi scoprì il “terreno di gioco dell’Europa” in cui esercitare muscoli e superiorità culturale.
Oggi gli uomini delle città vedono le Alpi come un parco di divertimento e una riserva di arcaica “diversità”, luogo di svago e argomento di chiacchiere da salotto.
Il basso Medioevo vide anche la “scoperta” delle Alpi da parte dei contadini europei che diedero vita alla straordinaria stagione delle colonizzazioni alpine. Essi tagliarono boschi, costruirono villaggi e alpeggi, dissodarono pascoli, aprirono al vivere umano le alte montagne. Soprattutto diedero un nome ad ogni luogo, riempirono con parole ogni anfratto.
Questi “nomi”, che sono storia e memoria storica della nostra gente, rivivono nella “cartografia immaginaria” di Giorgio Rava che recupera il toponimo dialettale per raccontare quasi una “geografia dell’anima” dei nostri monti. Nomi scritti con mano di fanciullo su povera ed essenziale carta da macellai… quelli di una volta. E un draghetto,o un basilisco misterioso guarda (e protegge?) quei monti. Un mondo rodariano.
Così come i dipinti raccontano una natura che soffre.
Una lezione feconda per domande che attendono una risposta.
Paolo Crosa Lenz
NELLA TERRA DI MEZZO.
Passato a miglior vita Sir John Ronald Reuel Tolkien soleva recarsi ogni sera prima di cena a bere una birra nella locanda del Puledro Impennato.
Spesso, ma non sempre, incontrava Bilbo Baggins, anche lui con la sua birra: parlavano per una mezz’oretta del più e del meno e ritornavano poi nelle rispettive tombe per il tardivo, e sempre abbondante, pasto serale in famiglia.
Cosa ne pensi del Giorgio Rava, chiese una sera Sir John con marcato accento lombardo al suo piccolo amico. Un gran bene ne penso. Dico come pittore.
Proprio come pittore disse Bilbo.
E’ perché, vedi, giù nella Terra di Mezzo, gli ancora viventi vogliono ristampare il Signore degli Anelli: stavo pensando di fargliele fare da lui le cartine.
Ottima scelta, ottima scelta, disse Bilbo.
Bene , son proprio contento che la pensi come me, disse Tolkien pulendosi con la manica la schiuma dai baffi, stasera ne parlo anche con Edith (Sir John non prendeva mai decisioni importanti senza consultare la moglie) poi ti dico.
Edith aveva fatto lo stufato di montone con le patate, se ne sentiva il profumo già lungo il viale di cipressi. Tolkien adorava come cucinava il montone sua moglie e ne mangiò tre piatti. Poi ci fu la torta del pane e latte.
Si bevvero tre bicchierini di Rum Pampero Especial per mandar giù il tutto, poi Sir John cominciò cautamente a introdurre il discorso.
Ci sarebbero da rifare le cartine del Signore degli Anelli.
Ah, è così che introduci cautamente il discorso, disse Edith, che aveva già capito tutto; ma sì, falle pure fare a quel tuo amico di Omegna le cartine, mi piace come disegna, soprattutto come fa i draghi.
Sfido! Disse Tolkien, sono locopei!
Come locopei?
Draghi locopei no? Si vede che c’è sotto lo zampino dell’Ersilia.
Edith non capì ma non se ne curò, ormai ci aveva fatto le ossa a con-morire con quell’intellettuale di suo marito.
Il giorno dopo il pittore Giorgio Rava si svegliò pieno di energia e con una gran voglia di lavorare: si fece un caffè forte, recuperò dal lavello una tazza ancora sporca dalla sera prima, versò la bevanda fumante e se la bevve d’un fiato, poi accese una Pall Mall e la lasciò bruciare come incenso sul tavolo da lavoro.
Su un foglio marroncino cominciò a disegnare la cresta di una montagna, poi un fiume; vicino al fiume scrisse: La Struna, poi una città con le sue case, Umègna. Sul fiume fece i ponti, e poi le frazioni: Brüghèr, Crüsnal, giù fino a Gravaluna (tèra buna) e a Urnavass (suta la fioca i sass). Fece un dragone nero che sputava fiamme e in testa aveva una corona d’oro.
Prima che il sole fosse alto nel cielo la cartina della Terra di Mezzo aveva preso forma sotto i suoi occhi: su carta da macellaio, tempera, oro e china.
Solo allora prese un’altra sigaretta dal pacchetto, grattò con l’unghia la scritta “il fumo invecchia la pelle” e se la fumò soddisfatto.
Alberto Paleari