E così ci risiamo…
Ancora una volta, pare che
torni a galla la vecchia questione delle campane delle chiese parrocchiali che,
pare, disturberebbero la quiete di qualche nuovo arrivato in paese e che quindi
dovrebbero essere silenziate con interventi d’autorità…
Non è la prima volta,
appunto e a chi chiede al sottoscritto cose ne pensi non riesco a trovare
miglior risposta che rispolverare un vecchio pezzo pubblicato ormai parecchi
anni or sono, quando analoga questione si pose a Montebuglio, fece discutere
per qualche settimana e finì poi in niente.
Aggiungo soltanto, se necessitassero
ulteriori argomenti, il grato ricordo della comunità di Ramate, che all’inizio
di questo ventunesimo secolo – non nel medioevo, quindi - si diede un gran
daffare per raccogliere i fondi necessari a ricostruire il suo campanile, dopo
che quello originale era stato demolito durante i lavori di ristrutturazione di
cinquant’anni prima, affinché potesse tornare a far sentire la voce delle sue
campane.
LA CAMPANA DEL VILLAGGIO
“Va
giù sonàa l’Aimäriä. E sonlä polit…” Era la frase con cui mia nonna Amelia,
mitica fabbricera della chiesa di San Tommaso in Montebuglio, mi spediva, al
momento del crepuscolo, a suonare quella campana ‘mezzana’ – nel senso di mezza
misura – che con la sua serie di rintocchi (almeno quindici, questo significava
“suonarla bene”) segnava l’inizio e la fine di ogni giornata.
L’Ave
Maria - il richiamo dei fedeli alla preghiera - così come il mezzogiorno, il
tocco delle ore e delle mezze, i tre segnali delle Messe, le Agonie dei
defunti, gli auguri agli sposi, i concerti a festa, il battere a martello
dell’allarme. Per secoli hanno scandito le ore della giornata, hanno segnato i
momenti del lavoro e del riposo, della gioia e del dolore, della festa e della
preoccupazione.
Un
altro ricordo vivido dell’infanzia è quello di mio padre, Adriano, nella cella
campanaria, a battere con i pugni chiusi sui cinque tasti del meccanismo che
aveva collegato ai batacchi delle altrettante campane con un gioco complicato
di leve e ‘cordine’ d’acciaio, a formare quel rudimentale pianoforte con cui
riusciva a scandire i motivi dei grandi inni cattolici - Noi vogliam Dio, Mira
il tuo popolo, Christus vincit – o di semplici canzoni popolari. Era la
mattina della festa del Balmello, ultima domenica di maggio, ma nessuno se la
prendeva per esser stato svegliato da quell’allegro e maestoso carillon. E
ancora ricordo mio bisnonno materno, Michele Calderoni, ël costeuri (il
custode, nel senso di sagrestano e campanaro) della chiesa di San Giorgio in
Casale. Per una vita intera scandì le sue giornate sul ritmo del campanile,
lasciando la sua bottega di calzolaio, o la sua casa della Cäràal,
mattina, mezzogiorno e sera, per recarsi a governare quelle ‘cinque creature’ –
e la tich e tach nei giorni della Settimana Santa – sentendolo come un
dovere nei confronti della comunità, civile e religiosa.
Ël
gh’ha cinq cämpän, ël neust cämpänin, ël sonä lä serä e’l sonä ‘l mätin… Ël
sonä dë meurt, lä Biondä e dä spos, ël sonä misdì e mai l’è noios… Ël gh’ha fin
l’orlòcc chë’l sonä tucc ij or, e ‘l da fin l’ävis së vëgn l’esator…
(traduco, a beneficio dei forèst: Ha cinque campane, il nostro
campanile, suona di sera e di mattina… Suona a lutto, la Bionda e per gli
sposi, suona mezzogiorno e non è mai noioso… Ha persino l’orologio che suona
ogni ora, avvisa fin anche quando arriva l’esattore del fisco…) Versi di una
vecchia canzoncina, considerata da molti l’inno dei casalesi, che Luigi Gedda e
Costantino Calderoni dedicarono al campanile di Casale, ma che si adatterebbe
perfettamente anche a quello di Montebuglio o di ogni altro paese.
Altri
tempi, quando bastava una torre con cinque campane per far vibrare d’orgoglio –
non per nulla definito campanilistico – il cuore di ogni paesano. Oggi vanno di
moda la privacy e la diplomazia, ‘virtù’ in nome delle quali autorità un
po’ pusillanimi ‘calano le brache’ di fronte alle recriminazioni dell’ultimo
venuto o di chi fa la voce grossa sventolando qualche pezzo di carta bollata.
“Se
voi suonerete le vostre trombe, risponderemo con le nostre campane” è la frase
con cui, si dice, abbia risposto Pier Capponi, priore del comune di Firenze, ai
messi del re di Francia, che minacciavano di far suonare l’assalto alle mura
cittadine se la municipalità non avesse capitolato ai loro prepotenti voleri e
spalancato le porte alle loro armate.
Altri
tempi, Maramaldo!..
Oggi
più che trombe guerriere girano dei gran ‘tromboni’, e le campane… ne fanno le
spese.
Massimo
M. Bonini - barbä Bonìn
vecchio
nostalgico
Pubblicato
in origine il 1 aprile 2009 in casalecortecerro.blogspot.com
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