La valle dei Cinque
Erano in cinque, cinque fratelli, cinque omoni grandi, grossi e spavaldi. Boscaioli, cacciatori, forse contrabbandieri di sale, occasionalmente, con il vicino principato, per arrotondare il magro bilancio di famiglia.
Sguardo franco, passo gagliardo, ogni sentiero del Cerano era come casa loro; tutti li conoscevano e li rispettavano perchè, nonostante quel loro aspetto brigantesco, erano miti e gentili con chiunque.
Ma un brutto giorno l'esercito imperiale ritenne di non potersi più privare dei loro servigi e li chiamò alle armi, tutti in una volta. Loro però non se la sentirono di andare a combattere contro i francesi, non per pusillanimità, ma per non lasciare sola la vecchia madre che non avrebbe saputo come campare. Non si presentarono al reclutamento e quando, qualche giorno più tardi, la pattuglia dei gendarmi venne da Omegna per arrestarli, si diedero alla macchia.
Li inseguirono naturalmente, per prati e orti e boschi, ma i cinque bravi si andarono a rifugiare nella profonda forra del rio Gaggiolo, a monte di Arzo, e appostati alla sua imboccatura attesero i croati con gli schioppi spianati, bloccandoli col loro tiro preciso. A lungo in paese si udirono rimbombare le fucilate, via via più rade, ma nessuno fu più rivisto comparire.
Pare che siano ancora là, a difendere il burrone che prese il loro nome, la Valle dei Cinque. Se vi aggirate da quelle parti al crepuscolo, con l'animo disposto a credere anche le cose più improbabili, forse riuscirete a scorgere una vampata all'interno dell'orrido; e se saprete guardare nella giusta direzione individuerete forse anche il pennacchio del kaporalmeister che, da dietro un masso, ancora fa la posta ai suoi disertori.
Nota: in paese la leggenda è ricordata solo nei suoi tratti essenziali e con sfumature diverse, secondo chi la riferisce. La versione riportata, pur nel rispetto della tradizione, è stata ampiamente romanzata al fine di renderla più leggibile; in particolare è del tutto arbitraria l'ambientazione nel periodo in cui Casale, con tutti i feudi borromei, faceva parte del ducato di Milano e quindi dell'impero austriaco (fino alla prima metà del XVIII secolo) e il principato sabaudo (poi regno di Sardegna) si estendeva sino alla Valsesia e all'alta Val Strona.
Erano in cinque, cinque fratelli, cinque omoni grandi, grossi e spavaldi. Boscaioli, cacciatori, forse contrabbandieri di sale, occasionalmente, con il vicino principato, per arrotondare il magro bilancio di famiglia.
Sguardo franco, passo gagliardo, ogni sentiero del Cerano era come casa loro; tutti li conoscevano e li rispettavano perchè, nonostante quel loro aspetto brigantesco, erano miti e gentili con chiunque.
Ma un brutto giorno l'esercito imperiale ritenne di non potersi più privare dei loro servigi e li chiamò alle armi, tutti in una volta. Loro però non se la sentirono di andare a combattere contro i francesi, non per pusillanimità, ma per non lasciare sola la vecchia madre che non avrebbe saputo come campare. Non si presentarono al reclutamento e quando, qualche giorno più tardi, la pattuglia dei gendarmi venne da Omegna per arrestarli, si diedero alla macchia.
Li inseguirono naturalmente, per prati e orti e boschi, ma i cinque bravi si andarono a rifugiare nella profonda forra del rio Gaggiolo, a monte di Arzo, e appostati alla sua imboccatura attesero i croati con gli schioppi spianati, bloccandoli col loro tiro preciso. A lungo in paese si udirono rimbombare le fucilate, via via più rade, ma nessuno fu più rivisto comparire.
Pare che siano ancora là, a difendere il burrone che prese il loro nome, la Valle dei Cinque. Se vi aggirate da quelle parti al crepuscolo, con l'animo disposto a credere anche le cose più improbabili, forse riuscirete a scorgere una vampata all'interno dell'orrido; e se saprete guardare nella giusta direzione individuerete forse anche il pennacchio del kaporalmeister che, da dietro un masso, ancora fa la posta ai suoi disertori.
Nota: in paese la leggenda è ricordata solo nei suoi tratti essenziali e con sfumature diverse, secondo chi la riferisce. La versione riportata, pur nel rispetto della tradizione, è stata ampiamente romanzata al fine di renderla più leggibile; in particolare è del tutto arbitraria l'ambientazione nel periodo in cui Casale, con tutti i feudi borromei, faceva parte del ducato di Milano e quindi dell'impero austriaco (fino alla prima metà del XVIII secolo) e il principato sabaudo (poi regno di Sardegna) si estendeva sino alla Valsesia e all'alta Val Strona.
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